VITTORIO DE SETA

Maestro di vita e cineasta rigoroso, che attraverso la sua documentazione visiva ha dato voce alla sofferenza, alla povertà, al sacrificio e al riscatto dell’uomo. Un ricordo del regista in uno scritto di Elisabetta Randaccio del direttivo FICC.

 

Scorsese scriveva di lui: “Era un antropologo con la voce di un poeta” e, dopo aver visto i suoi documentari, li definiva come “il cinema nella sua espressione migliore, capace di trasformare , che mi aveva permesso di capire cose mai capite prima d’ora e di vivere emozioni a me sconosciute. Mi sembrava di aver fatto un viaggio in un paradiso perduto”. Insomma, i suoi cortometraggi straordinari, girati all’inizio della sua carriera, sia ritraessero la drammatica fatica quotidiana dei pescatori siciliani, sia la vita scandita da una ritualistica quasi arcaica dei piccoli paesi sardi, non diventarono mai un episodio documentaristico localisticamente autoreferenziale, ma attraversarono, come si è visto dalla parole di Scorsese, i confini, influenzando generazioni di cineasti in tutto il mondo. Certo, il suo esordio nel lungometraggio (Leone d’oro alla Mostra di Venezia 1961 e premio della giuria FICC nella stessa occasione), Banditi a Orgosolo, divenne un punto di riferimento culturale, soprattutto per la Sardegna, allora bersaglio di attacchi istituzionali come regione “delinquente”, da bombardare (lo disse Indro Montanelli…). Il film di de Seta, che prendeva le mosse dalla famosa relazione del sociologo Franco Cagnetta sull’isola, girato a Orgosolo (un paese, allora, incredibilmente invaso dall’esercito per “prevenire” atti di criminalità), con attori non professionisti di grande espressività, mostrò le imarzialità e le miserie che strangolavano la società agro pastorale e diedero un contributo per il mutamento, nell’opinione pubblica, dell’atteggiamento sulla “questione sarda”. Nell’isola fu, da subito, amato; era uno “straniero” capace lucidamente  di descrivere la popolazione facendone scaturire, con pochi dialoghi (c’è da dire come De Seta girò in lingua sarda, ma, poi, scelse di far doppiare gli attori) e indimenticabili inquadrature dei paesaggi e degli interpreti, la dignità, l’orgoglio e le contraddizioni dovute a una società in mutamento, profondamente ingiusta . A dimostrazione di questo, a Orgosolo, venne realizzato un piccolo murale ritraente la locandina del film, caso abbastanza raro nelle tipologie contenutistiche di quest’arte, ancor oggi conservato bene e visibile. La Sardegna fu, inoltre, spogliata dagli stereotipi decadenti e folcloristici in cui la cinematografia l’aveva schiacciata fino ad allora, sul grande schermo. Nessun autore sardo, nemmeno nella contemporaneità, se vuole raccontare l’isola seriamente, può astenersi dal riferirsi all’esordio di De Seta.  Il regista, di origine siciliana, ma calabrese a tutti gli effetti, non può essere sovrapponibile esclusivamente con il folgorante Banditi a Orgosolo. La sua filmografia rivela altre grandi opere. Pensiamo a Diario di un  maestro (1972), realizzato per la televisione (ebbe un successo straordinario e inaspettato di ascolti), girato con lo stesso metodo della pellicola “sarda”: gli attori non “schiacciati” dal regista dittatore, ma stimolati in un’improvvisazione costruttiva, nel caso specifico, “guidati” anche da un interprete sensibile come Bruno Cirino. Pure Diario di un maestro (tratto dal bel libro di Albino Bernardini) ebbe effetti culturali e sociali: una generazione di educatori e insegnanti ne venne influenzata. Altrettanto rilevante Lettere dal Sahara (2004), non fortunato né nella distribuzione né nella critica, uno dei primi film italiani ad analizzare la questione emigrazione con lucidità.

Amico della FICC , consapevole dell’importanza divulgativa e formativa messa in atto dai circoli del cinema, nel 2007 la rivista “Cinemassessanta” gli attribuisce il premio Chaplin.  In quello stesso anno, ritorna, ancora una volta, a Orgosolo, che gli rende un tributo d’affetto e di rispetto. I cittadini del paese barbaricino, proprio in quei giorni ferito da un lutto pesante (l’uccisione del poeta Peppino Marotto), ricordava ancora il regista integratosi nella realtà complessa dell’ Orgosolo degli anni sessanta, il quale aveva, come scrisse Scorsese, riportato sullo schermo “La gente che sembrava pregare attraverso la fatica delle mani.”

Elisabetta Randaccio

 

 

 

Di seguito una videointervista realizzata da Alberto Bougleux in Spagna nel 2008 – Prod. Quaderni del CSCI-ZaLab, 2008

 

ZaLab si unisce al dolore dei documentaristi italiani e di tutto il mondo per la scomparsa di Vittorio di Seta, maestro insuperato di poesia del reale.

Vittorio De Seta, la grammatica del documentario from Za Lab on Vimeo.

 

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