COUS-COUS A MONZUNO

Il film del regista Abdel Kechiche sarà proiettato giovedì 6 luglio alle ore 21,00 presso la Biblioteca Comunale di Monzuno a cura del Circolo Fata Morgana.

Cous-Cous

(Le graine et le mulet) Francia 2007
di Abdel Kechiche. Con Habib Boufares, Hafsia Herzi, Farida Benkhetache, Abdelhamid Aktouche, Bouraouia Marzouk, Alice Houri, Leila D’Issernio , Abelkader Djelloulli, Olivier Loustau, Sabrina Ouazani.

Un pasto lungo una vita

Vero come la vita. E appassionante, noioso, eccitante, doloroso come solo la vita sa essere. E’ il regista stesso ad affermarlo, la sua è prima di tutto ricerca di autenticità. Nella scrittura, nella recitazione degli attori, nella scelta delle ambientazioni.  “Il cinema e il lavoro con gli attori sono la mia passione – spiega Abdellatif Kechiche – quasi tutto il senso della mia vita. E’ anche la ricerca di una realizzazione: trovare nella recitazione il grado più forte di verità."

Cous Cous racconta di un sogno che stenta a realizzarsi, di vite non facili, di emozioni troppo trattenute o esageratamente “esposte”. Ambientato nella comunità degli arabi-francesi di Marsiglia, il film ha per protagonisti Slimane e Rym, contornati dalle rispettive famiglie, nuclei di vitalità appassionata e di indomabili rancori. Slimane è un sessantenne mite, che ha scritto in faccia un percorso di rinunce e fatiche dal quale si riscatta grazie alla presenza affettuosa, costante dei figli, della sua nuova compagna, della figlia acquisita e, in fondo, anche dell’ex moglie.

Per la sua serietà e la totale assenza di presunzione è circondato da una grande stima da parte di amici e conoscenti.

Rym è una ragazza decisa, sensibile. Possiede la forza positiva che appartiene ai figli di immigrati più che ai loro coetanei “europei”, di solito disillusi e preda di molti timori. Sua madre ha una storia con Slimane e lei considera l’uomo come un vero padre. Il loro rapporto di complicità e comprensione, di reciproco sostegno, è uno degli assi portanti del film, insieme alla complessa struttura di sentimenti che lega Slimane alla sua vera famiglia.

Figli e figlie dell’uomo, coi relativi compagni, i nipoti e l’ex moglie costituiscono uno spaccato scanzonato, irriverente, ma anche drammaticamente realistico di una certa Francia, quella dei quartieri poveri, del lavoro precario, del continuo oscillare tra due mondi e due culture sentendosi perennemente in bilico.  Mai del tutto accettati, sempre sottoposti ad “esami”. Come dimostra il calvario di colloqui, di domande presentate, di requisiti ulteriormente richiesti cui vengono sottoposti

Slimane e Rym in seguito alla loro decisione di tentare la carta ristorante. Il fatto che non siano francesi al 100% li rende poco affidabili agli occhi dei solerti amministratori. Se a questo si aggiunge la mancanza di coperture, garanzie, raccomandazioni di sorta, il sogno che prende forma nel corso del film è destinato forse a rimanere tale e la buona volontà di Slimane e Rym a subire un brusco bagno di realtà.

Ma il fascino di Cous cous non risiede tanto nella storia, che appare più un pretesto, quanto nell’ambiente descritto, reso così bene dal regista e dai suoi attori da apparire vivo, palpitante, concreto. Come se ci trovassimo anche noi a tavola con la numerosa famiglia di Slimane, sentissimo gli odori e quasi anche il sapore dei piatti serviti, in particolare il gusto irresistibile del cous cous di pesce di mamma Souad, di fronte al quale tutte le resistenze cadono. Se c’è qualcosa che non torna sta proprio nella trama, la decisione di Slimane di comprare una barca e aprirci un ristorante appare un poco inverosimile riportata al suo carattere chiuso, alla sua scarsa intraprendenza, al pessimismo che rende spento il suo volto. Certo c’è lo zampino di Rym, che lo incoraggia, lo aiuta, semplifica i problemi affrontandoli con la sua energia di ventenne e con la sua visione ottimista, anche se ben ancorata a terra. Cous cous è la fotografia di un momento difficile ma carico di aspettative positive. Slimane è appena stato licenziato ma non accetta i consigli “benevoli” dei figli che lo vorrebbero relegato al paese d’origine, a riposarsi dopo una vita di lavoro. In fondo ha solo 61 anni e, per un uomo abituato a sgobbare da mattina a sera, ritrovarsi in una condizione di ozio forzato è forse il destino peggiore. E poi lui ci tiene a lasciare qualcosa che i suoi familiari possano continuare…

Non ho voluto raccontare la trama in modo lineare perchè la vicenda narrata nel film è semplice in fondo, quel che intriga è la serie di ritratti spontanei, pieni del calore dei sentimenti che Kechiche costruisce insieme ai suoi attori. Un’enclave che ricorda le grandi famiglie del sud Italia, che si riuniscono intorno a una tavola e celebrano il rito del pranzo. Ecco – il cibo è un altro dei temi essenziali della pellicola, un cibo rispettato, consumato con gioia e gratitudine, preparato con immenso amore.

Roberta Folatti (cineboom.it)

Rassegna Integrazione

Fata Morgana                                                            Luglio 2010

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