In occasione del Sardinia Film Festival, che si svolgerà a Sassari dal 25 al 30 giugno, si terrà un convegno a cui saranno presenti Presidenti e altri rappresentanti delle Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica. In allegato il programma dettagliato.
COMUNICATO:
L’associazionismo culturale agli albori del XXI secolo.
L’impegno dell’operatore culturale e il rogo della cultura
A Sassari nei giorni 29 e 30 giugno 2012, nell’ambito del 7° Sardiniafilmfestival International Short Film Award, il Cineclub Sassari Fedic organizza un convegno sul futuro dell’associazionismo culturale, le associazioni contemporanee, le prospettive per gli operatori culturali e la rinascita della dignità culturale.
Saranno presenti, tra i relatori, i Presidenti delle nove associazioni riconosciute dal MIBAC e altri importanti protagonisti del mondo della cultura, della scuola, dello spettacolo e della politica.
Il moderatore sarà Italo Moscati.
La sede sarà presso l’aula magna dell’Ateneo turritano.
Angelo Tantaro (Presidente SFF 2012)
a.tnt@libero.it
Info e contatti:
Paolo Micalizzi (Referente del convegno) paolomicalizzi@gmail.com – 0532.762580 – 347.8271421
Marta Manconi (Segreteria organizzativa) manconi.marta@gmail.com – 348.9512450
pagina dedicata alle Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica riconosciute dalla vigente legge sul cinema sul sito del Cine Club Roma della FEDIC www.cineclubromafedic.it/ass-cultura-cinematog.html
dal sito
articolo di Elio Girlanda
Il cineclub come social network di Elio Girlanda
Il cineclub come social network
di Elio Girlanda
(Art. apparso sul SardiniaFF News n. 10 Maggio 2012)
Zuckeberg, inventore dei social network? Si sa che prima c’erano i foto-annuari universitari. Con un viaggio nel tempo potremmo dire che nell’organizzazione del pubblico il primo modo per far incontrare spettatori e immagini (addirittura personali come nella Fedic, come su Youtube) è quello dei circoli del cinema più di 60 anni fa. Andando indietro, si potrebbero citare i Cineguf del fascismo e, ancor prima, l’inventore del cineclub, l’italiano a Parigi Ricciotto Canudo, per il quale il cineclub si lega al riconoscimento del cinema come arte. Come dichiarato dai presidenti, non c’è conflitto tra nuove tecnologie e storia dell’associazionismo. Internet è un enorme “cineclub” dove convergono miliardi d’interessi comuni e dibattiti con testi, foto, video, tutti o quasi provenienti “dal basso” e confluenti nell’agorà telematica.
Nei piccoli centri come in città nascono cineclub, ovvero perdura un bisogno sociale di luoghi per la condivisione del cinema come “bene comune”, come occasione di riscoperta, formazione, approfondimento. Quindi non vedo per le Associazioni un futuro grigio né tantomeno nero. La situazione è certamente critica, nonostante il riconoscimento di legge. Ma se dal 2014 le distribuzioni non daranno più film in 35mm, è anche vero che i cineclub da tempo operano con vari formati e standard, come pure programmano teatro, musica, conferenze, lezioni, e altro. La sfida digitale non trova impreparati i circoli, perché la loro qualità è simile all’attuale “multiprogrammazione”. Anche la tradizione d’educazione all’immagine come formazione di spettatori, critici e filmmaker, è favorita dalla tecnologia. Basti pensare a blog, riviste e siti sul cinema che amplificano le finalità critiche del cineclub, offrendo opportunità che altri già colgono. Per esempio, le trasformazioni telematiche dei festival possono interessare le Associazioni. La distribuzione su internet deve coinvolgere la realtà associativa. Nuove forme di finanziamento del cinema come il crowdfunding potrebbero interessare le Associazioni, anche per le iniziative. E così via.
Per superare la crisi della cultura occorre “ripensarsi” in ambito politico (lo ha ricordato il Presidente Napolitano per i David), nelle agenzie educative e nelle Associazioni. Al di là del riconoscimento di legge, da estendere a regioni e bandi pubblici, occorrono forme di collaborazione tra associazioni, circoli, sale, circuiti. Internet è cooperazione. Spero che il futuro sia in forme federative, esattamente come nell’industria e in politica. L’A.I.C.A. (Associazione per Iniziative Cinematografiche e Audiovisive), che per il Ministero ha realizzato per 4 anni il progetto speciale “Cantiere Italia” con sito annesso per rendere visibili film italiani ed europei, pubblicato la “Guida dei Circoli di cultura cinematografica” (banca dati in 2 edizioni e un sito) e organizzato il I Forum Nazionale delle Associazioni, è un esempio. Oggi quelle iniziative non sono possibili (sono realizzate comunque da altri), perché è venuto meno il riconoscimento di legge: il comma per le iniziative comuni è stato cancellato. Dispiace che sia dimenticata la storia che vede nascere l’A.I.C.A. nel 1986 per volontà interassociativa del compianto Riccardo Napolitano della FICC e alcuni amici, per dare visibilità al “capitale sociale” delle Associazioni e creare sinergie con la “Carta dei diritti del pubblico di Tabor” della Federazione Internazionale dei Circoli del Cinema nel 1987, che intendeva incentivare l’accesso alle opere audiovisive. Mi auguro che i nuovi scenari siano di rilancio di esperienze comuni come quelle con l’A.I.C.A..
Elio Girlanda
Regista e docente a. c. di Linguaggi e Formati del Cinema e dell’Audiovisivo presso l’Università Telematica NETTUNO di Sapienza Università di Roma. Autore di monografie su Woody Allen, Meryl Streep e Stefania Sandrelli, s’interessa di cinema digitale in rapporto alle origini dei media audiovisivi e al precinema (Il cinema digitale, 2006; Il precinema oltre il cinema, 2010, Dino Audino Editore). È stato segretario generale dell’A.I.C.A. per attività e servizi comuni alle Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica.
Colloquio con Marco Asunis, Presidente della FICC (Federazione Italiana Circoli del Cinema)
di Francesco Bellu
(intervista completa di quella apparsa sul n. 2 Gennaio 2012 del SardiniaFF News)
- Che cosa differenzia la Federazione Italiana dei Circoli del Cinema (FICC) dalle altre associazioni culturali?
Bisogna cercare probabilmente nel profondo della storia di ognuna delle 9 Associazioni di cultura cinematografica, almeno quelle riconosciute ancora per legge dallo Stato italiano, la differenza che le contraddistingue. La FICC, essendo stata fondata alla fine del 1947, è stata la prima a nascere, si è caratterizzata per la difesa del cinema italiano contro il monopolio del cinema americano e per le battaglie, in particolare, a favore di un’arte libera contro la censura. C’è un bellissimo libro di Virgilio Tosi, ‘Quando il cinema era un circolo’, che racconta, in un percorso di memoria che va dal 1945 al ’56, di quanto le differenze ideologiche del dopo guerra abbiano pesato nel frantumare il mondo dell’associazionismo cultuale cinematografico democratico.
Cosa è cambiato da allora?
Finite le ideologie, ciò che maggiormente caratterizza la politica culturale della FICC oggi è il fatto di mettere al centro dell’universo cinema ‘il pubblico’ , considerato il principale soggetto dello scambio culturale e portatore in sé di precisi e specifici diritti. A Tabor, nel 1987, nella vecchia Cecoslovacchia, la International Federation of Film Societies, con l’allora presidente italiano Carlo Lizzani, deliberò in un decalogo la ‘Carta dei Diritti del Pubblico’. Ciò ha attivato una pratica comune dei circoli FICC, dove ogni opera filmica viene considerata funzionale alla crescita autoformativa e critica del proprio pubblico di riferimento; da qui la particolarità del dibattito dopo il film con i suoi metodi e le sue pratiche democratiche, coinvolgenti e partecipative. A differenza di Nanni Moretti, con tutto il rispetto possibile, la FICC è per… ‘il dibattito, sì!’. In sostanza, credo sia l’aspirazione e la formazione di un ‘nuovo pubblico’ attivo e creativo a caratterizzare l’impegno volontario dei circoli e degli operatori culturali della FICC, in cui il cinema diventa strumento collaterale ma funzionale nella propria azione culturale. E’, per quanti dovessero arricciare il naso, una pratica formativa fortemente piacevole, concreta e aggregante. Non sarebbe nato un nuovo circolo FICC a Tarvisio l’ultimo giorno dell’anno, né un altro ancora sarebbe sorto a Cagliari due giorni dopo, se non ci fosse l’idea che è possibile crescere e migliorarsi insieme attraverso il cinema.
- Qual è oggi la responsabilità dell’operatore culturale e quali sono i suoi limiti?
La responsabilità può essere pari a quella di un insegnante che lavora per formare i suoi studenti e, più in generale, a quella di chi vuole considerarsi classe dirigente e che intende trasformare la società in meglio attraverso lo strumento della cultura, dell’autoformazione, della conoscenza e dell’analisi critica con il cinema e gli audiovisivi in generale. Rispetto a questo affascinante orizzonte sociale, in una fase storica in cui la scuola è stata irrisa e vilipesa in questi ultimi decenni ed in un momento di vuoto e di sconforto se si guarda alla politica, le responsabilità e i limiti degli operatori culturali sono entrambi enormi. Avere questa consapevolezza di dover agire all’interno di questi spazi fortemente destrutturati, è già di per sé un modo per affrontarli e superarli, aiutando per quel che è possibile anche scuola e politica, ad esempio, a riattivare il loro vero ruolo.
- E’ attuale la distinzione in nove associazioni?
Forse non è più attuale, ma è sempre necessaria. Ognuna delle nostre Associazioni rappresenta dei mondi e delle specificità che vanno salvaguardati. E non mi riferisco solo alla semplice e schematica suddivisione ancora esistente tra Associazioni cattoliche e no. Anzi, direi che ci sono delle affinità particolari tra alcune nostre Associazioni che prescindono da questa divisione. E’ stato quasi naturale in questi anni per la FICC avere, in particolare con la FEDIC e il CGS, dei momenti comuni di collaborazione e lavoro. Cosa che ha prodotto un arricchimento reciproco. Posso dire che tra tutte le Associazioni c’è alla base un idem sentire de re publica, ma ci occupiamo di settori diversi dello stesso campo. Troverei deleterio, sulla base di semplici affinità culturali, pensare a delle fusioni. Le fusioni a freddo, la politica ce lo ha insegnato, hanno poca presa col tempo. Salvaguardare peculiarità culturali e storia delle nostre Associazioni significa anche mantenere un forte patrimonio ideale e identitario fondamentali per il nostro paese. Guai a sperperare e dilapidare questo patrimonio.
- Ritieni utile un convegno sull’associazionismo culturale, cosa ne potrebbe scaturire?
Mah! Intanto, credo sia sempre utile parlarsi e confrontarsi. Il pregiudizio nasce sempre dalla non conoscenza dell’altro. Questo vale per gli uomini e anche per le nostre Associazioni. Un convegno su di noi, sulle nostre prospettive, sul nostro ruolo nella società odierna, sarebbe certamente benvenuto. La crisi generale e i problemi fortissimi sorti con i tagli finanziari da parte del Ministero, non ci hanno visto reagire come un sol uomo. Questo non è stato un bene. Troppi cincischiamenti e ritardi. Oggi, le difficoltà comuni ci impongono ancor più di ieri di stare tutti più vicini per rispondere al meglio a chi non considera la cultura questione centrale per l’uomo. Ci sono in gioco valori fondamentali per il futuro della nostra società. Avere come obiettivo l’analisi della situazione e il superamento delle difficoltà generali, può certamente giustificare l’impegno di un momento utile sul quale confrontarsi e lavorare. Come FICC siamo disponibili per un confronto che serva ad affrontare tutti insieme la dura realtà che abbiamo di fronte.
si possono leggere le interviste ai Presidenti o Responsabili di tutte le Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica ai link:
www.cineclubromafedic.it/ass-cultura-cinematog.html
www.ficc.it/leggi_notizia.php?id=676&prov=2&id_s=10033
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di giugno, con i cinecircoli
Pubblicato il 27 giu 2012 da Italo Moscati su www.cineblog.it
Vado e spero di fare bella figura. Frequentavo i circoli del cinema e il cineforum nei lontani anni Sessanta a Bologna. La città aveva un’intensa attività in associazioni con nome e cognome che si sono consolidate nel tempo e vivono o sopravvivono (dice qualcuno) anche oggi. Ricordo certe serate in cui interveniva Pier Paolo Pasolini non soltanto per parlare dei suoi film; ma s’incontravano anche tante belle figure, e tutte quante erano spavalde, serene, magari polemiche ma mai avvelenate, gli uni contro gli altri.
Per il 29 e 30 giugno sono stato invitato a Sassari, presso l’Università, a presiedere la discussione in un convegno che, come spesso accade in casi simili a questo, ha un lungo titolo, più o meno alla Wertmuller: ne cito uno sopra e non lo ripeto. Il titolo è “L’associazionismo culturale agli albori del XXI Secolo. L’impegno dell’operatore culturale e il rogo della cultura”. Ognuno può commentare come crede una proposta del genere ma io voglio leggerla in positivo. Le parole “albori” e “rogo della cultura” indicano con chiarezza che la situazione è seria e grave (come tutta quella del cinema e dei massmedia oggi); quindi bisogna affrontarla, anche perché essa è vista in questo modo non solo dall’associazionismo del cinema. Sto leggendo le bozze degli interventi e altri testi di documentazione. Interessante, c’è la netta consapevolezza della necessità di guardare avanti e se serve voltare pagina con decisione.
L’invito a partecipare al convegno delle nove associazioni mi trova in un incrocio di strade. Strade che mescolano momenti personali e momenti più generali di riflessione.
Sto andando per l’Italia a presentare un libro dedicato a Gianni Toti, un poeta e molto altro ancora, che amava il cinema; ha frequentato e animato le associazioni del cinema, è stato attento alle novità tecnologiche e alla sperimentazione, tanto è vero che ha tentato di fare poesia con l’elettronica. Il libro si intitola “Gianni Toti o della poetronica”, a cura di Sandra Lischi e Silvia Monetti, giovani studiose dell’università di Pisa.
In questo libro figura anche uno mio scritto sul poeta, che fu anche regista, e con il quale ebbi un intenso rapporto di scambi e lavoro nel periodo in cui mi occupavo degli sperimentali della Rai, e promuovevo esordi, ad esempio quello di Gianni Amelio con il bellissimo film La fine del gioco.
Toti avrebbe potuto essere uno dei protagonisti del mio nuovo libro, “L’albero delle eresie” perché aveva tutte le caratteristiche di un eretico, un eretico buono, intelligente, sensibile, contrario alla violenza e alla volgarità ideologica. Non lo ho inserito perché le due studiose stavano preparando il loro libro. A cui rimando. Nell’” Albero” sono presenti molti registi italiani e stranieri (da Fellini a Stanley Kubrick), teatranti d’avanguardia (da Julian Beck a Carmelo Bene), della musica e della danza (da Jimi Hendrix a Pina Baush). Attraverso essi racconto le storie di chi era “diverso ma non avrebbe mai tagliato il ramo dell’albero” dove svolgeva le proprie ricerche e le più personali, ardite, e ancora vive, esperienze. Quella che ho virgolettato è una espressione di Herbert Marcuse, l’autore di “L’uomo a una dimensione”, il filosofo più citato nella seconda parte degli anni Sessanta, il profeta più citato della contestazione; oggi quasi dimenticato.
In mezzo alle foglie di un albero frondoso metto adesso le associazioni di cultura che hanno avuto e hanno a cuore il cinema, ma non solo. Nessuna le cita più o quasi; sono fantasmi di cui sentiamo la presenza, il segreto lavorio; esse non sono possedute né dallo spirito di rinuncia o peggio dalla depressione. Ne sentiamo il discreto fruscio ma io, ad esempio, che sono curioso di loro e le conosco in gran parte, avverto il bisogno di un rilancio.
Un rilancio che superi la storia di alcune di queste associazioni, pionieristiche, con nascite risalenti al dopoguerra; che metta in moto una riflessione rispetto a una realtà profondamente cambiata; e che, infine, cerchi in direzione di un futuro che non si lasci affascinare, o incantare, in una situazione dove tutto è in divenire ma dove il più delle volte prendono spazio illusioni di un domani a portata di mano.
Le associazioni di cui parliamo sono sorte in un’Italia che – avendo voltato le spalle al fascismo e decretato la fine di idee politiche e statuali bocciate – doveva in nome dell’antifascismo mettersi a tessere velocemente una tela non da disfare ma da inventare. Allo scopo di allargare la conoscenza e i valori che di essa era portatore la cultura e in particolare il cinema, massmedia unico, d’eccellenza, anche nei film più popolari.
Nascevano le associazioni e nello stesso tempo, per iniziativa delle istituzioni democratiche, partivano per l’Italia gli assistenti sociali- quasi tutti molto giovani- che avevano avuto l’incarico di presentare agli alunni e agli studenti qualcosa che il Paese avevo “dovuto” dimenticare: la democrazia.
Erano vie parallele. Quella delle associazioni di cinema scavalcò gli anni del dopoguerra e ha avuto, ha, una vita lunga. Ma oggi diversa rispetto al passato, che ha scarso risalto e che rischia di essere avviata non tanto a un viale del tramonto, senza un Billy Wilder, ma ad una sopravvivenza da pianeta di solitari appassionati della pellicola che fu.
Ecco il punto. Le associazioni devono “compromettersi” con quel che è accaduto in oltre mezzo secolo di vicende in cui hanno avuto importanza, e senso; e trovare non una ma più linee diverse e all’altezza. Il cinema oggi se la passa maluccio. Non sto a ricordare come e perché. Lo sappiamo benissimo tutti.
Spero che a Sassari si possa cominciare da quella che non è più una vecchia crisi (come ricorda Rodolfo De Angelis in una vecchia canzone degli anni Trenta, “Ma cos’è questa crisi?) ma da tutte le crisi da cui siamo circondati, compresa quella di internet, dei blog, del computer, del digitale. L’importante è sapere, non fingere di sapere.

